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Estratto da: www.ognisette.it
Una giornata particolare con Francesca Breschi in un percorso per le vie della musica di tradizione e oltre
Ancora una tappa del ciclo A Piena Voce all’Agorà di Pisa
06/04/2011   Maria Torrigiani
Paradigma vivente di quanto poco senso abbia tentare di costringere la musica entro rigidi confini di genere, Francesca Breschi – per dirla con le sue stesse parole - ha la “disgrazia di muoversi nella musica attraverso i generi e attraverso il tempo”. Musicista di formazione classica, con studi di pianoforte e di canto, è cantante (di ogni musica: antica, contemporanea, di tradizione, jazz) compositrice, musicologa, didatta della musica ma anche attrice e performer, e percorre instancabile le più disparate esperienze. L’incontro con Breschi (conferenza al pomeriggio e concerto la sera), centrato sul tema L’Altro Canto. Materiali tradizionali e di scrittura dal medioevo ai giorni nostri, ha coinvolto il pubblico dell’Agorà di Pisa in un’affascinante avventura attraverso secoli di musica, di costume, di tradizione, di generi. Folgorata, adolescente, dall’ascolto live degli Area dell’indimenticato Demetrio Stratos, Francesca Breschi pochi anni dopo è socia di Pupi & Fresedde, uno dei fenomeni più innovativi del teatro degli anni ’70 legato alla cultura mediterranea, a riferimenti antropologici all’impiego di musica dal vivo in scena. I fondatori di P&F arrivavano dal sud e “cantavano con le stesse voci che oggi ascoltiamo nei reperti etnomusicologici”, ricorda Francesca. L’incontro con Giovanna Marini, che dà luogo a un sodalizio ormai ventennale anche nel Quartetto Vocale della musicista romana, è nuova occasione di ricerca nel segno del rigore formale. E mette in guardia, Breschi, da semplificazioni cui può indurre il lavoro attorno alla cultura non scritta, dove occorre la tentazione di codificare a orecchio il profilo di questo o quel reperto. “Sempre andare alle fonti – esorta - sempre documentare i riferimenti”, raccomanda. Così rammenta che pochi ricordano come l’ottava rima, tipica della tradizione toscana, abbia origine lontana nel tempo e nel luogo, arrivando dalla Francia del ‘300 in Sicilia e nelle nostre regioni. Accompagna l’esposizione dei diversi modi con registrazioni originali di grande interesse e con esempi vocali illuminanti – preziose anticipazioni di quel che sarà il concerto serale – e asserisce la necessità di conoscere a fondo i codici di ogni linguaggio. Nel canto di tradizione ogni forma e variante ha precisa funzione. “Nulla è a caso”, afferma. Ogni poeta improvvisatore canta l’ottava secondo il suo modo, la sua firma, fatta di melismi, di cesure del verso, di fraseggio e di respiri. I canti rituali delle prefiche, che ancora sopravvivono in pieghe riposte del nostro meridione, hanno un andamento melodico e di registro, da meno a più acuto, che rispondono a precise esigenze del rito. “Ecco perché – continua – è fondamentale riuscire a trascrivere e registrare fedelmente ciò che si ascolta”. Una volta che si abbia la consapevolezza della struttura e della funzione dei brani, “posso romperne i codici e usare i materiali per raccontare una storia nuova, mia”. Così dà risposta preventiva alla domanda non formulata se si possa riproporre il patrimonio musicale tradizionale e come; e né dà godibile testimonianza nel concerto della sera. Breschi canta la Sicilia dei più miseri: incanterebbe se non fosse un distillato del più irrimediabile dolore il canto del solfataro, dimentico egli stesso di sé, morto per sé e per gli altri, vivo solo alla fatica e al lavoro; canta la Toscana dei contrasti in ottava rima, le mondariso della bassa padana, il fervore ideale che percorreva il proletariato dell’800 e 900, accompagnata a volte dalle voci degli Allievi del corso di Canto di tradizione orale Ma canta anche polifonie del XV e XVI secolo, con gli Allievi del Corso avanzato, e il Trionfo di Bacco e Arianna del Magnifico e, infine, composizioni per quartetto di voci femminili che Giovanna Marini ha scritto partendo ma materiali popolari. Un incontro rigeneratore con il canto, che sa infrangere la barriera delle diverse lingue, e con la voce, strumento mirabile e invisibile, onnipresente nella storia dell’uomo e da prima che questa iniziasse.
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